Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento in persona del presidente della giunta regionale sig. Mario Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale n. 13357 dell'11 ottobre 1991, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato spediale a rogito notaio dott. Franco Marchesoni di Trento in data 15 ottobre 1991, n. 32004 di rep., contro il Presidente del Consiglio di Ministri pro-tempore in relazione al decreto ministriale Sanita', 2 agosto 1991, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 agosto 1991, concernente "autorizzazione alla installazione ed uso di apparecchiature diagnostiche a risonanza magnetica". Con decreto ministeriale Sanita' 29 novembre 1985, concernente "disciplina dell'autorizzazione e uso delle apparecchiature diagnostiche a risonanza magnetica nucleare (r.m.n.) sul territorio nazionale", dette apparecchiature sono state incluse nell'elenco dei presidi medici e chirurgici e assoggettate ad autorizzazione del Ministro della sanita' "per quanto concerne il commercio, l'installazione e l'uso". Questa Corte, decidendo con sentenza n. 216/1988 sul ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla regione Liguria in riferimento al citato d.m. 29 novembre 1985, ha ritenuto che la disciplina e i controlli sull'uso delle apparecchiature in questione rientrino nelle competenze statali, sia in base all'art. 6, lettera c), della legge n. 833/1978 (competenza statale in ordine alla produzione, registrazione, ricerca, sperimentazione, commercio e informazione concernente fra l'altro i presidi sanitari e medico- chirurgici) sia in base all'art. 6, lettera i), della stessa legge (competenza statale in ordine alla produzione, registrazione, commercio e impiego, fra l'altro, delle forme di energia capacio di alterare l'equilibrio biologico ed ecologico). La Corte rilevo' che l'art. 6, lett. c), non menziona l'impiego degli strumenti di diagnosi e di terapia, ma osservo' che il d.m. del 29 novembre 1985 conteneva una disciplina incentrata sulla sperimentazione delle apparecchiature (e l'art. 6, lettera c)), esplicitamente prevede una disciplina statale della sperimentazione dei presidi); che per altro verso l'art. 6, lettera c), lascia intendere che "oggetto delle competenze statali e', in via di principio, la disciplina di qualsiasi attivita' relativa ai predetti presidi sanitari, compresi l'acquisto e, nei casi di strumenti il cui uso esige particolari cautele, persino l'installazione e l'impiego deglio stessi"; e che, poiche' le apparecchiature a r.m.n. utilizzano in combinazione le onde elettromagnetiche e le radiazioni nucleari, questo ultimo "in grado di alterare l'equilibrio biologico delle persone che ne siano oggetto", "non vi puo' essere alcun dubbio che la disciplina e i controlli sul loro uso rientrino", a norma dell'art. 2, lett. i), della legge n. 833/1978 "nelle competenze statali". Abbiamo voluto riportare analiticamente la motivazione della pronuncia di questa Corte, perche' da essa emergono chiaramente il fondamento, la ratio e i limiti delle competenze statali in materia. Le apparecchiature in questione, per il loro carattere di presidi medico-chirurgici, e per il fatto che utilizzano forme di energia potenzialmente pericolose per le persone, sono assoggettate a controllo statale allo scopo di verificarne la idoneita' tecnico- sanitaria, e di verificare altresi' che le modalita' del loro impiego non creino pericoli per la salute o per l'ambiente. A tutela di questi interessi sono dunque intese le autorizzazioni ministeriali introdotte dal d.m. 29 novembre 1985. Si potrebbbe osservare che tale decreto ministeriale, introducendoi forme di autorizzazione all'installazione delle apparecchiature, non previste dalla legislazione previgente, realizzava comunque un eccesso dalle competenze del Ministro, poiche' l'art. 189 del t.u.l.s., di cui al r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, si limita a prevedere l'ahtonorizzazione per la produzione e per la vendita, e a sua volta l'art. 4 del r.d. 6 dicembre 1928, n. 3112 (l'altra norma invocata come fondamento del d.m. 29 novembre 1985) si limita ad attribuire al Ministro il potere di introdurre variazioni o aggiunte all'elenco dei presidi medici e chirurgici che "devono essere sottoposti a registrazione, a norma dell'art. 11 della legge 23 giugno 1927, n. 1070", cui oggi corrisponde il citato art. 189 del t.u.l.s. del 1934. In ogni caso, cio' che e' certo, e che risulta con chiarezza proprio dalla sentenza n. 216/1988 di questa Corte, e' che i controlli statali sulle apparecchiature a r.m.n. sono intesi a garantire che esse, per le caratteristiche tecniche e per le modalita' di installazione e di impiego, non risultino nocive o pericolose per la salute o per l'ambiente: non sono certo intesi a disciplinare l'acquisto e l'uso delle apparecchiature medesime in relazione ai criteri di convenienza economica o di miglior uso delle risorse nell'ambito della programmazione del servizio sanitario nazionale. Orbene, con decreto 2 agosto 1991 il Ministro della sanita'; invocando ancora una volta a fondamento l'art. 6, lett. c), e lett. i), della legge n. 833/1978, nonche' il proprio decreto del 29 novembre 1985, ha dettato una nuova disciplina delle autorizzazioni alla installazione ed uso di apparecchiature diagnostiche a r.m. In esso si detta le "norme tecniche" e le "procedure amministrative, uniformi sul territorio nazionale", nel cui rispetto sono consentiti l'installazione e l'utilizzo delle apparecchiature a risonanza magnetica per uso diagnostico (art. 1, primo comma). Le apparecchiature sono classificate in due categorie: nel gruppo A quelle "di utilita' clinica convalidata e caratterizzate da protocolli d'uso e applicazioni largamente consolidati"; nel gruppo B quelle "di utilita' documentata solo in alcuni settori e caratterizzate da protocolli d'uso e applicazioni in corso di evoluzione" (art. 3). L'art. 4 detta i criteri per la collocazione delle apparecchiature del gruppo A; l'art. 5 stabilisce la relativa procedura e disciplina i controlli. In questo caso e' soppressa la necessita' di autorizzazione, ma e' previsto solo l'invio di una "comunicazione di avvenuta installazione" (art. 5, secondo comma). L'art. 6 prevede invece ancora l'autorizzazione ministeriale per l'installazione e l'esercizio delle apparecchiature del gruppo B, fissando le procedure e la documentazione relative; e' prevista l'autorizzazione per un periodo sperimentale di tre anni, alla fine del quale il soggetto autorizzato deve inviare al Ministero una relazione, sulla cui base il Ministro rinnova l'autorizzazione all'uso clinico ovvero classifica l'apparecchiatura "per la quale si e' comprovato il superamento della fase di sperimentazione". Si puo' subito osservare, intanto, che il nuovo decreto ministeriale non si riferisce piu' esclusivamente ad una fase di sperimentazione delle apparecchiature, ma ne disciplina l'installazione e l'uso "a regime", per quelle di gruppo A, mentre solo per quelle del gruppo B si prevede una fase di sperimentazione. Siamo quindi, per quanto attiene almeno alle apparecchiature del gruppo A, fuori da quella disciplina della sperimentazione su cui era incentrato, come questa Corte ha osservato nella sentenza n. 216/1978, il d.m. 29 novembre 1985. Ma, soprattutto, la disciplina del nuovo decreto travalica l'ambito del controllo tecnico-sanitario sulle apparecchiature, in funzione della protezione della salute, per investire largamente l'ambito delle scelte di programmazione sanitaria. Nulla da dire circa la disciplina della protezione e della sorveglianza fisica e medica degli operatori, dei pazienti e della popolazione occasionalmente esposta, dei parametri tecnici, dei controlli di sicurezza (art. 2; art. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma; art. 6: a proposito di quest'ultima disposizione si puo' solo notare che nella relazione che il soggetto autorizzato deve inviare al termine del periodo sperimentale sono incluse una "analisi dell'impegno economico", e l'indicazione dei "requisiti quali- quantitativi del personale", cioe' elementi che poco hanno a che fare con i controlli sanitari e attengono piuttosto a valutazioni e scelte economiche e di programmazione dei servizi). Cosi' pure non e' contestabile la classificazione delle apparecchiature contenuta nell'art. 3. Si puo' forse anche comprendere la disposizione dell'art. 4, secondo comma, secondo cui e' consentita la collocazione di apparecchiature del gruppo B "solo presso grandi complessi di ricerca e studio ad alto livello scientifico, .. ai fini della validazione clinica di metodologie r.m. innovative", in funzione di una sperimentazione tecnicamente valida. Per questi aspetti il decreto resta nell'ambito della competenza statale a disciplinare e controllare la produzione, la sperimentazione e l'impiego di tali apparecchiature in funzione di tutela della salute e di prevenzione dei rischi per la salute e per l'ambiente. Ma altre parti del decreto, in particolare relative all'installazione e all'utilizzo delle apparecchiature del gruppo A, travalicando nettamente quest'ambito per invadere quello della programmazione sanitaria, riservato alle regioni e alle province autonome. A questa spetta infatti fra l'altro, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 833/1978 "unificare l'organizzazione sanitaria su base territoriale e funzionale adeguando la normativa alle esigenze delle singole situazioni regionali", e "assicurare la corrispondenza tra costi dei servizi e relativi benefici", cio' essenzialmente attraverso la programmazione sanitaria regionale. Quando l'art. 1, primo comma, del decreto impugnato pretende di stabilire non solo norme tecniche, ma anche "procedure amministrative, uniformi sul territorio nazionale", e cio' non per le autorizzazioni di competenza ministeriale (che restano limitate alle apparecchiature del gruppo B: art. 6, primo comma), ma per l'installazione delle apparecchiature del gruppo A (ormai "convalidate") nell'ambito dei servizi provinciali della sanita', e' palese l'invasione dell'ambito di competenza provinciale. Parimenti e' palese questa invasione quando, all'art. 1, secondo comma, si dettano criteri, ai fini dell'installazione e dell'utilizzo delle apparecchiature, che non hanno nulla a che fare con le esigenze di controllo tecnico-sanitario, ma costituiscono criteri di programmazione: "massima accessibilita' in rapporto alle caratteristiche orogeografiche e di prevalenza delle affezioni morbose nel territorio"; "sviluppo preferenziale delle prestazionio ambulatoriali integrate da efficaci collegamenti tra strutture di ricovero ed extra-ospedaliere"; "utilizzazione ottimale delle dotazioni strumentali e delle competenze professionali disponibili, collegando la produttivita' delle seconde alla potenzialita' delle prime". Parimenti attengono alla programmazione sanitaria di competenza provinciale i criteri dettati dall'art. 4, primo comma, per la collaborazione delle apparecchiature del gruppo A; "adeguamento alla domanda di prestazione attuale o prevista nell'area territoriale o comunque nel bacino d'utenza potenziale, secondo quanto stabilito dalla programmazione sanitaria della regione o della provincia autonoma"; "integrazione con strutture specialistiche gia' esistenti, finalizzata al loro utilizzo multi-specialistico di diagnostica mediante immagini o mono-specialistico limitatamente ad unita' autonome di diagnosi e cura di elevata qualificazione cardiologica e/o cardiochirurgica, neurologica e/o neurochirurgica; ospedali specializzati ortopedico-traumatologici". Ne' si dica che, essendosi soppressa l'autorizzazione ministeriale (per le apparecchiature del gruppo A) e facendosi espresso riferimento alla programmazione sanitaria delle regioni e delle prov- ince autonome, nessuna lesione alla competenza di queste potrebbe derivare da una disciplina intesa a indirizzare l'attivita' regionale e provinciale. Infatti il decreto in questione non puo' in alcun modo giustificarsi, quanto ai contenuti di cui qui si discute, come atto di indirizzo delle attivita' regionali e provinciali, mancando ogni fondamento legislativo per un siffatto indirizzo e quindi risultano quanto meno violata la riserva di legge che in questo campo sussiste, per consolidata giurisprudenza di questa Corte. Non valgono certo ad offrire tale fondamento legislativo le norme di cui all'art. 6, lettere c) ed i), della legge n. 833/1978, le quali disciplinano competenze statali e non competenze di indirizzo delle attivita' regionali; e tanto meno le norme dell'art. 189 del t.u.l.s. e degli artt. 4 e 7 del r.d. n. 3112/1928, le quali prevedono esclusivamente un'attivita' statale di autorizzazione alla produzione e al commercio dei presidi medico-chirurgici. In sostanza, dunque, le disposizioni citate del d.m. 2 agosto 1981, se intese - come sono da intendere - quali disposizioni vincolanti nei confronti delle regioni e delle province autonome e dei soggetti che erogano i servizi sanitari, sono lesive dell'autonomia provinciale e illegittime, quanto meno sotto il profilo della mancanza di fondamento legislativo e della violazione della riserva di legge. La lesione delle competenze provinciali risulta particolarmente evidente la' dove l'art. 5, primo comma, del decreto disciplina la procedura per la installazione delle apparecchiature del gruppo A. Si prevede infatti che il presidio interessato debba presentare alla competente autorita' sanitaria della regione o della provincia autonoma "proposta di installazione secondo il modello di cui all'allegato 2"; e che "la competente autorita' sanitaria della regione o della provincia autonoma entro e non oltre novanta giorni dal ricevimento della proposta, esprime parere di compatibilita' rispetto alla propria programmazione sanitaria". L'allegato 2 a sua volta precisa minuziosamente le informazioni che debbono essere fornite (fra cui dati sul bacino di utenza, sulla quantificazione dei pazienti esaminati annualmente, sulla previsione dell'attivita' annua da svolgere: cfr. quadro 1, punto 1.5. e relative istruzioni). Gia' e' singolare che con decreto ministeriale si pretenda di stabilire le caratteristiche del modulo per inoltrare una pratica alla regione o alla provincia autonoma, e di fissare il termine per il "parere di compatibilita' rispetto alla .. programmazione sanitaria". Ma in cauda venenum: l'ultima parte dell'art. 5, primo comma, stabilisce che "in caso di parere contrario e' ammesso ricorso al Ministero della sanita' 'nemmeno al Ministro', che si esprimera' in merito, sentito il Consiglio superiore di sanita' e la regione o provincia autonoma interessata". Qui siamo al colmo: si disciplina una procedura di competenza provinciale, intesa ad accertare la compatibilita' dell'installazione di un'apparecchiatura con la programmazione sanitaria provinciale'e: ma si prevede che su tale compatibilita' (si badi: con la programmazione della provincia) si esprima in grado di appello, e su ricorso, il Ministro (o il Ministero) della sanita'³ Non sarebbe evidentemente possibile cercare di giustificare siffatte chiare invasioni dell'ambito costituzionalmente riservato alla provincia invocando la competenza statale in tema di produzione, commercio e impiego dei presidi diagnostici, o l'assenza di una corrispondente competenza provinciale in materia. La competenza statale, come si e' visto, non ha nulla a che vedere con decisioni intese a consentire o meno l'installazione di apparecchiature diagnostiche non gia' in base a criteri tecnici- sanitari, ma in base a criteri attinenti all'organizzazione e alla programmazione dei servizi sanitari. E, del resto, che non si verta in ambito di competenza statale, e' dimostrato dallo stesso d.m. impugnato, posto che e' proprio tale decreto a prevedere che la proposta di installazione sia rivolta "alle competenti autorita' sanitarie della regione o della provincia autonoma", e a prevedere la necessaria conformita' rispetto alla "programmazione sanitaria della regione o della provincia autonoma" (art. 4, primo comma). Quanto al fondamento della competenza provinciale, gia' si e' ricordato come vi rientri tutto cio' che attiene alla organizzazione e alla programmazione del servizio sanitario sul territorio, in base ai principi e alle norme della legge n. 833/1978. Ne', del resto, occorre far riferimento ad alcuna specifica attribuzione di competenza, non solo perche' la legge n. 833/1978 e' chiarissima nel demandare alle regioni e alle province autonome il compito di programmare e organizzare i servizi, ma anche perche' nella materia della sanita', attribuita alla competenza statutaria della provincia (come a quella costituzionale delle regioni) spetta alla provincia autonoma la generalita' delle funzioni amministrative, con la sola eccezione delle competenze esplicitamente attribuite allo Stato (art. 6 della legge n. 833/1978). In ogni caso, nessuna acrobazia logica potrebbe mai giungere a giustificare una competenza statale a pronunciarsi sulla compatibilita' di una iniziativa rispetto alla programmazione sanitaria della provincia, smentendo o contraddicendo la valutazione che in merito abbia espresso l'autorita' provinciale: ed e' proprio questo l'abnorme contenuto dell'art. 5, primo comma, ultima parte, del decreto impugnato.